La cucina vegetaliana di Pina Siotto, remixer della tradizione

Pina Siotto (di spalle)è artista, antropologa, cuoca e ha scritto Vegetaliana, "note di cucina italiana vegetale" (I quaderni del Loggione). Stasera lo presenta alle 20,45 al Centro Natura, accompagnata dalla musica di Ousmane Thioub. 


Da quanto tempo lo stavamo aspettando? Io da un po'. Perché con lei ci inoltriamo in un mondo culinario curioso, sorprendente, sperimentale ma totalmente innamorato della tradizione, entusiasmante e romantico. Pina Siotto, cuoca del Centro Natura ma ancor prima antropologa e artista, presenta questa sera al Centro Natura alle 20,45 il suo libro, che racconta il suo modo di vedere e interagire con il cibo, quasi lei stessa fosse un ingrediente. E' il punto di vista di una remixer il suo, per scomodare un termine musicale che adoro particolarmente, ovvero di una mente ispirata, che entra nella materia, la comprende, la fa sua e la fa reagire con la sua sensibilità, la sua conoscenza e il suo palato. Ecco perché in Vegetaliana troverete ricette che... vi sembrerà di conoscere. Sentirete una certa familiarità. E, avventurandovi nel procedimento, noterete la presenza dell'elemento segreto che farà quadrare anche la vostra digestione. Ah...e se vi state domandando cosa ci può essere in comune tra vegetaliano e vegano, la risposta è: tutto. Ma la Pina Siotto un ricettario vegan... secondo me non l'avrebbe mai scritto. E questo libro, così spoglio di immagini, a parte le illustrazioni di Chiara Renda, e così "no fronzoli" è come un uomo che oggi non si fa crescere la barba.





Vegetaliana è la dieta seguita dalle persone che scelgono di nutrirsi esclusivamente di cibi di origine vegetale


Pina, in questo libro registri le tue ricerche in cucina, frutto del lavoro di tanti anni. Qual è la tua attitudine nel cucinare?
In questo libro è presente l'attitudine con cui mi avvicino ai fornelli, il mio interesse per le materie prime, il mio guardarle per quello che sono: materie vive, che rispondono a delle sollecitazioni che noi diamo con l'utilizzo di strumenti quali i coltelli, le pentole e il fuoco. Se i nostri modi sono gentili e attenti, le risposte possono essere eccellenti. Anche le risposte dipendono dalla nostra capacità di coglierle. Come il risultato di un piatto esprime lo stato di un momento (una vera e propria cartina di tornasole) così anche la scrittura, lo scrivere ferma un determinato istante.

Se tu fossi una musicista, secondo me saresti una fantastica remixer...in cucina sei proprio così, studi le ricette della tradizione, italiana o straniera, elimini gli alimenti animali e aggiungi quelli vegetariani, facendo quadrare anche l'aspetto benessere.
Credo che in ogni fare ci sia un remixare quello che abbiamo conosciuto, sperimentato.Facciamo a partire da quello che conosciamo, conosciamo attraverso quello che facciamo,
e così evolviamo. Il riferirmi a quello che altri hanno fatto prima di me con grande conoscenza è una spinta che mi accompagna da sempre: ho una formazione artistica e una specializzazionein restauro e archivistica che ha poi trovato un pieno completamento negli interessi e negli studi di antropologia. Soprattutto mi interessano le metodologie utilizzate nella trasformazione dei diversi cibi, perché queste raccontano come l'uomo risponde all'ambiente e al contesto sociale. Nella pratica quotidiana della cucina, più che togliere e sostituire, ho osservato che, in genere, ogni piatto ha un ingrediente o una consistenza che lo rendono 
particolare. Se lo individuo, posso ricercare e trovare la stessa atmosfera utilizzando ingredienti molto diversi, in modo da non deludere la risposta alla domanda emozionale, che ha sempre una matrice mnemonica, anche nel cibo. In questo modo mi posso anche liberare da una schiavitù emozionale e sensoriale, che nei casi estremi si esprimono nelle forme delle dipendenze e del fanatismo per certi cibi.

Perché intitolare il libro "Vegetaliana" e non "Vegana"?
Vegana (o vegano) è un termine molto connotato, che sta diventando un marchio. Il pericolo dei marchi (che a volte sono anche divertenti) è che nell'abusare dell'utilizzo di un termine, anche in modo inappropriato, spariscono i motivi originari cui si riferiscono e a questi si sostituiscono motivi che purtroppo molto spesso sono di tipo identitario, dei surrogati di identità che riempiono una mancanza di senso.Vegetaliana è un termine che
si riferisce alla dieta e alla cucina (per questo femminile, oltre che per il fatto che suona meglio che al maschile) esclusivamente vegetale. Di fatto è un sinonimo di vegana, ma rispetto a quest'ultimo termine è ancora una parola (non ancora un brand), al punto che spesso le persone si complimentano con me pensando che io l'abbia inventata. Per questo motivo l'ho scelta e per lo stesso motivo nel libro uso solo un paio di volte la parola vegana,
e solo per definirla. Inoltre la parola vegetaliana è una parola ambigua, un anagramma del sottotitolo, in quanto contiene le due parole chiave vegetale e italiana, che definiscono il pretesto del libro.


Praticamente l'assunto del libro non è proprio la ricerca del patrimonio "vegetale" nella cucina italiana ma piuttosto la possibilità di far vegetaliana qualsiasi ricetta con in più anche un suggerimento nutrizionale che nella maggior parte dei libri manca?
L'assunto del libro è forse più questo: la convinzione che esista una cucina italiana purista, fatta di ricette codificate da sempre e a base di ingredienti autoctoni è una bufala. Il pomodoro non è entrato nella cucina italiana prima della fine del '700 - inizio dell'800 (mio nonno è nato alla fine dell'800), circa 400 anni dopo l'arrivo della pianta dal Nuovo Mondo con i viaggi di Colombo, e il riso e lo zucchero sono stati portati in Europa dagli arabi. Per questo motivo è inspiegabile l'accanimento di alcuni puristi nei confronti di certi alimenti "nuovi" che oggi stanno entrando nella cucina di tutti i giorni, in origine arrivati come risposta alle esigenze di un certo tipo di uomo e donna che vivendo nel mondo contemporaneo "globalizzato", sempre di più si confrontano con l'insostenibilità del sogno pantagruelico del secondo dopoguerra che, al suo ultimo colpo di coda, ancora alimenta l'illusione della necessità di mangiare carne tutti i giorni a pranzo e a cena, anche di fronte all'evidenza dei danni che provoca in termini di salute per l'uomo e l'ambiente.


Molte ricette mi pare tu le abbia scelte proprio per la carica "evocativa" che hanno. In una zuppa ligure, la Mess-ciua dici che potevi sceglierne altre di zuppe, la nostra cucina ne è piena, ma hai scelto quella per la sua storia che ti fa sognare... 
Se cucini spesso scegliendo in base al sogno e all'evocazione, allora i tuoi piatti sono intrisi di grande romanticismo. E' questo l'ingrediente segretissimo?
Mi fa piacere che tu abbia colto questo aspetto del libro. Si, in effetti per me la cucina è un viaggio. Mi viene meglio cucinare i piatti di cui conosco anche la storia, mi immergo in questa per ispirarmi nella ricerca dei sapori e della riuscita finale del piatto. Ogni piatto è una atmosfera evocativa, ogni piatto porta anche questa atmosfera nel mondo sensoriale di chi lo mangia. In fondo la cucina è un modo di raccontare il nostro sforzo di rispondere quotidianamente ad un nostro bisogno fondamentale. Non a caso per aprire il libro ho citato Roland Barthes che, scrivendo di Brillat Savarin, esprime con toni forti un aspetto che è talmente scontato da non essere più visto: se si taglia via la lingua non c'è più gusto né parola.

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