ÈVVIVA!… Mica tanto: il pranzo di Pasqua a Riccione, da Muccioli e Aliberti

bancone a ridosso della cucina in uno dei tre spazi per mangiare all'interno di ÈVVIVA a Riccione
E' passata anche Pasqua e io non vi ho fatto gli auguri e nemmeno vi ho detto: bentornati! Forse perché non è un vero andar via (almeno per me e almeno per ora), forse perché non è una vera festona, di quelle che se non fai gli auguri agli amici (e un po' anche ai famigliari) ti senti in colpa, sta di fatto che non ho osservato il galateo del ciaoatutti!/comestate?.
E poi c'è un altro buon motivo per non aver dimostrato slancio post-pasquale… è che non avrei mai voluto scrivere questo post. O almeno avrei voluto farlo tutta sorrisi e nessuna ombra, come piace a me che ho qualche problema con le critiche (effetto specchio?). E quindi sono riapparsa così, proprio martedì, per tracciare un decalogo di quelli che ci intrattengono un po' e che ci illustrano il mondo del business gastronomico oggi. E in cui il ristorante, o forse farei meglio a dire l'H24, dove sono stata domenica per il pranzo di Pasqua, si inserisce alla perfezione, con 6 regole su 10 spuntate. Ah, si chiama ÈVVIVA, è il nuovo ristorante di Andrea Muccioli e Franco Aliberti a Riccione, nella vecchia lavanderia del Grand Hotel (evocazione seducente) e la parte più importante, quella del cibo, mi ha appesantito l'ispirazione.



accanto al muro sbrecciato (in parte) divani da casa di campagna inglese in vendita (600 euro): come tutto quello che c'è qui


Certo l'esordio deludente, dopo la prenotazione euforica il giorno prima, ha compromesso molto del resto. La gita verso Riccione domenica mattina, in compagnia dell'Adorabile e di Ivana, si  annunciava curiosa, divertente, "intrattenente". Bello andare a scoprire un nuovo posto che dovrebbe essere tra i culti dell'estate, per via dei fondatori, e figo aver trovato posto per tre un giorno prima. Nonostante sul sito non ci sia traccia del menu - bensì  ci sia il racconto di come qui si celebri lo scarto zero che "significa saper utilizzare e trasformare il più possibile anche parti dei prodotti che normalmente vengono scartate"- noi siamo andati tranquilli verso il nostro destino, perché consapevoli della nostra meta e intuitivi sui possibili prezzi che non sarebbero stati da trattoria e perché comunque quella era l'esperienza che volevamo fare. Peccato che, appena arrivati e seduti a un banco a ridosso del laboratorio dei prodotti da forno (il ristorante era pieno, tra la sala coi tavoli da due e l'altro bancone affacciato sulla bella cucina e una saletta con tavolo alto di gusto post-industriale e sgabelli) e sfogliato il menu, la sorpresa sia stata che non si sfogliava un bel niente: c'era solo il menu da degustazione a 50 euro. Un'imboscata direi, visto che nessuno ci aveva detto, al momento della prenotazione, che l'indomani ci sarebbe stato solo questa di possibilità. Con 4 portate e una doppia opzione per ognuna, dall'antipasto al dolce. 


"Uovo", le lumacone dei Cracking Art, la declinazione al caramello, la sala da pranzo con vista sulla cucina

Ecco,  ultimamente io non lo reggo il menu degustazione. Non ne posso più di pascolare nel prato recintato degli chef. Mi piace tanto gustare la loro fantasia e la loro conoscenza, capire e imparare e godere del buon cibo, ma secondo il mio gusto, la mia scelta, la mia voglia del giorno. La dittatura della degustazione io non la combatto, la evito proprio. E quando ti capita un incontro a due così, non voluto, mi escono le nuvolette dal naso e inizio a scalpitare come fa il toro nell'arena alla vista del banderillero. La degustazione si sceglie, non è un caso. Magari se vai in un posto costosissimo e famosissimo (o no?) e allora ti fai questo viaggetto di sapori, una "sum up" come direbbe la mia amica Veronica.  Altre due cose mi hanno incupita: l'offerta di due secondi a senso unico, o agnello o guancia di vitello, come se un grande chef non lo sapesse che ormai i vegetariani rompicoglioni sono ovunque. E quindi: già che devo farmi piacere il menu-dogma perché c'è solo questo, non posso farlo nemmeno fino in fondo. E così, al mio disappunto, mi viene risposto che l'alternativa può essere una coda di rospo con le fave e una verdura caramellata o sennò un tagliere di formaggi che- dai!- anche no. Ma per favore. A questo punto vi starete forse chiedendo perché dopo tutto questo, noi tre fossimo ancora lì: perché era Pasqua ed erano le due e mezza del pomeriggio. Buon viso a cattiva sorte, con postilla: nemmeno un calice di vino in un menu degustazione del di' di festa, vabbè. 


quel che resta di uovo, la poltrona in vendita, la recepito con la scala che porta alla galleria dove c'è un altro tavolo, raviolo di asparagi e il bancone sui grissini dove eravamo seduti noi

Ma passiamo al cibo che, in un giorno qualsiasi, si può ordinare a seconda del tiramento e addirittura in porzione mini (sigh). Il cibo ha esordito così così, con Uova, quello che definirei un antipasto e che, espanso suona così: uova, ricotta di bufala, tè nero lapsang souchong, pane all'orzo. Servita in una bella tazza che sa di antico, arriva in tavola alla moda del consommé, una crema di ricotta che ricopre un uovo cotto - ci spiegano poi- a 62 gradi e a lungo nel roder, una specie di acquario per cotture sottovuoto che voi gastrofissati più di me conoscerete senz'altro. L'idea è carina, perché è il concetto della sorpresa dell'uovo dove però è l'uovo la sorpresa (caspita), rifletto, ma l'effetto non mi piace molto, perché mescolando tutto e mangiandolo, questi due elementi si amalgamano fino ad un certo punto, per poi lasciare una brodaglia di albume più liquida di un albume che io non riesco a mangiare, nonostante stia riflettendo che quella roba lì mi costa quasi 13 euro. Quando lo faccio notare al gestore, che è poi il signor Muccioli, attivo tra i tavoli, lui mi spiega tutta la faccenda della lunga cottura…e io mi sento malvagia e vergognosa che sto' uovo non l'ho finito. Non ne capisco molto di queste alchimie, però penso che un uovo forse non è uguale all'altro e che se a una persona ne capita uno con meno chiara (Ivana, fortunella te!) allora ben per lui. Col primo ci tiriamo su di morale perché il raviolo di asparagi (solo le parti solitamente di scarto con un addensante vegetale e cottura sottovuoto) ripieno di stracchinato di Vittorio Beltrami, pomodori datterini, asparagi, mozzarella di bufala, zabaione e mandorla amara è strepitoso. Giusto lo zabaione mi sembra in verità una maionese e non mi piace un granché lì sopra, ma sto zitta. Poi arriva la mia coda di rospo che chissà da dove arriva se non era stata invitata questo giorno di Pasqua. Ma, rifletto, sarà stata sottovuoto, e sorrido. Infine il dolce: scelta tra millefoglie (che deve essere pure un cavallo di battaglia dell'ex pastry chef di Bottura) e declinazione al caramello. Scelgo il secondo per seduzione del caramello croccante, che effettivamente è l'unico che poi mi mangerei. Un dolce molto gustoso e raffinato, ma in effetti davvero sproporzionato rispetto al resto del menu minimale che ho massimalizzato con i fantastici grissini e il delizioso pane. E così non lo finisco perché ho la bocca allappatissima. E non ce la faccio nemmeno a mangiare la colomba offerta col gelato al moscato Anejo (potevate mettere in menu solo questa e offrirla, che così magari spendevo di meno e mi prendevo un calice di vino).
Rileggendo questo post di una lunghezza passabile di denuncia, mi rendo conto della mia in-sofferenza. Così usciamo e guardiamo gioiosi i lumaconi dei Cracking Art che affollano lo spazio esterno e l'orto, assieme a un gregge di seggioline da giardino baciate dal tempo e dalla patina. Punto! Qui si rispettano tutte le regole del locale contemporaneo che riusa (riciclare è out come verbo, non piace al signor Muccioli, però i Cracking lo usano, non sono così fuori luogo) e recupera, dall'arredamento (basi delle macchine da cucire Singer come "gambe" dei tavoli, leve come appendi abiti, stoviglie, lampade industriali) alle materie prime, cercando di alimentare il minimo possibile la spazzatura. E partiamo alla volta di Santarcangelo, incontreremo Veronica e vedremo cose molto carine e la patina scivolerà dal buonumore.

ÈVVIVA
viale Gramsci 31, Riccione
0541.694098
aperto dalla colazione al pranzo

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