Memoria e ricette: intervista a Simonetta Agnello Hornby


al momento sto studiando la ricetta del biancomangiare....



Il cibo è uno dei grandi narratori dei nostri tempi. E questo lo sappiamo.
Come sappiamo quanto sia capace di accompagnarci in conversazioni profonde e coinvolgenti che rivelano tanto di noi e quanto potente sia nel guidarci verso la scrittura che vuole fermare il tempo e riaffermare la memoria. 
Il cibo, assieme alla storia di una famiglia siciliana, è al centro di Un filo d’olio (Sellerio) l’ultimo romanzo – autobiografico- dell’avvocato e scrittrice palermitana Simonetta Agnello Hornby (ha esordito nel 2002 con La Mennulara)  narrato a quattro mani con la sorella Chiara Agnello che si è occupata proprio delle 28 ricette (dalle cotolette di melanzane al gelo di mellone, dal biancomangiare col latte di mandorla alla zucca fritta con la cipolla) divise secondo i mesi più caldi: da maggio a settembre. Questi cinque mesi erano il periodo di vacanze delle sorelle Agnello nella casa di campagna della famiglia, a Mosè, luogo dell’anima di Simonetta e nome biblico dedicato dal primo proprietario. Nell’antica masseria siciliana che ha resistito alla guerra, Simonetta e Chiara si ritrovano ancora oggi, ogni estate. La scrittrice, che da quarant’anni vive a Londra, non manca mai di riunirsi alla famiglia nel periodo più caldo dell’anno. La scrittrice è stata ospite della sesta edizione del festival svizzero Chiasso Letteraria proprio per presentare l’ultima fatica, farcita di dolci memorie scritte e fotografiche. E io, grazie a un'amica speciale sono riuscita a scambiare qualche impressione con lei.

Qual è la grande ricchezza del cibo per la nostra identità signora Agnello-Hornby?
Il cibo ci aiuta a ricordare l’identità e la cultura ed è sempre stato così. Se l’uomo è diventato sapiens sapiens è perché ha iniziato a coltivare e a sviluppare il rito del mangiare insieme. Il rapporto dell’uomo col cibo è cosa profonda e un po’ lo stiamo perdendo. Scrivere le ricette sarà da esempio per i miei nipoti. Potrà rimanere loro qualcosa di importante. Quindi questo libro è da una parte un modo per tramandare memoria e dall’altra un incoraggiamento alla gente perché scriva le proprie ricette di famiglia. Ritengo che sia più importante, per le persone, non avere paura di scrivere i propri ricordi piuttosto che leggere il mio libro. Certo, sembra un controsenso quello che dico, perché certamente voglio vendere, ma sarebbe bello se tutti lo facessero.
Come nasce quindi questa necessità di parlare della famiglia e sottolineare il tutto quasi mettendosi a tavola, alla fine del romanzo, tra questi 28 manicaretti?
Dietro a “Un filo d’olio” c’è un iter molto lungo. Inizialmente la nostra idea era quella di trascrivere le ricette dei dolci di nonna Maria, annotate da lei in un quadernetto con le pagine numerate e corredate da indice. Volevamo far rivivere la cultura della tavola di casa nostra attraverso le sue ricette e le fotografie d’epoca. Lavorando sul quaderno ho poi pensato che bisognava scrivere un vero e proprio libro su nonna Maria, la nonna materna che non ho praticamente conosciuto e così il mio prossimo romanzo sarà proprio su di lei, praticamente tutto d’invenzione e dal titolo per ora provvisorio di “Maria lo piglia amaro”. “Un filo d’oro” è quindi diventato altro e mia sorella ha curato, testandole tutte, le ricette infuse di tradizione. La dedica principale, comunque, è per nostra madre Elena e per la zia Teresa, con cui sempre pasticciavamo in cucina.
Le piace pensare al cibo come cura per l’anima?
Nei miei momenti di infelicità ho sempre cucinato acqua e alloro. Se ho una causa difficile vado a fare una pasta frolla. Il cibo dobbiamo usarlo anche come conforto. Non solo nella gioia ma anche per  gioire.

Commenti

  1. IL BIANCOMANGIARE, UNA STORIA INCREDIBILE CHE PASSA ANCHE ATTRAVERSO L'INTELLIGENZA DELLA GRANDE MATILDE DI CANOSSA...E QUI DICIAMOLA lei è passata pure da Mantova...

    "l biancomangiare non era una ricetta specifica, ma una preparazione medievale basata sulle presunte qualità del colore bianco, simbolo di purezza e ascetismo. Cibo destinato alle classi superiori, prese il nome dal colore degli ingredienti che prevalevano nella sua elaborazione, come petto di pollo, latte, mandorle, riso, zucchero, lardo, zenzero bianco, ecc.
    Questa era una ricetta dolce o salata interpretata variamente a seconda delle diverse aree geografiche, perché non esisteva IL biancomangiare, ma I biancomangiare.
    Si ritiene che abbia avuto origine in Francia per la frequente presenza negli antichi ricettari di termini come blanche mangieri, balmagier, bramagére.
    Diffusosi in Italia intorno all'XI secolo, venne nominato per la prima volta fra i piatti del celebre banchetto organizzato da Matilde di Canossa per la riappacificazione fra il Papa e l'Imperatore.
    Nel Liber de coquina (XIV sec.), primo ricettario in volgare, il biancomangiare risulta confezionato con petti di pollo cotti e tagliati a filetti, farina di riso stemperata in latte di capra o di mandorle, il tutto messo a bollire a fuoco lento con zucchero in polvere e lardo bianco sciolto, finche acquisti una certa densità. Lo stesso ricettario propone una variante per la Quaresima, nella quale viene escluso il lardo e parte dominante assumono le mandorle per il loro latte, mentre la carne è sostituita da polpa bianca di pesci e l’aggiunta di porri lessati in acqua.
    Nel ‘400 Mastro Martino suggerisce una confezione più elaborata e delicata, con l’eliminazione del lardo e l’introduzione di brodo di cappone, mollica di pane bianco, acqua rosata, agresto e zenzero.
    Altre varianti si incontrano nei ricettari del Messisbugo, dello Scappi, fino ai trattati seicenteschi, in particolare dello Stefani, dai quali si deduce che il biancomangiare era concepito come minestra, secondo piatto o salsa da versare su carni soprattutto lessate.
    La ricetta più nota di epoca contemporanea venne proposta da Careme che elaborò sostanzialmente una gelatina fatta con latte di mandorle dolcificato.
    Oggi il biancomangiare è una preparazione dolce e delicata, curiosamente tipica di due regioni italiane lontane tra loro: la Valle d'Aosta e la Sicilia.
    In Valle d'Aosta prende il nome di Blanc Manger e si prepara in due versioni, la prima è fatta con latte di mandorle, la seconda più elaborata utilizza latte di mucca.
    In Sicilia il biancomangiare è una crema preparata con mandorle tritate, zucchero, amido, buccia di limone, cannella, e messa a raffreddare in forme di terracotta."

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  2. cara Blue, non solo mi segui, ma amplifichi quel che scrivo...sei troppo carina! grazie per l'approfondimento! anche l'Artusi ce l'ha, ma con la colla di pesce, mentre la Hornby lo dà con l'amido, molto meglio :) farò una crasi dei due...vediamo un po'! Il fatto è che l'ho assaggiato sabato in un'occasione dove non me lo aspettavo proprio...è stata una gran bella sorpresa!

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  3. Gaia, che coincidenza! io lo leggo non propriamente tutto d'un fiato...ma è un po' il mio metodo di lettura...disordinato :)

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