I vignaioli emo che piacciono ai romantici
Se è vero che le nuove rockstar sono gli chef, stellati o meno, è anche vero che le nuove icone alternative che ogni cultura di massa si merita, come antagoniste, sono i vignaioli biodinamici, o se preferite, naturali. Poi qualcuno mette insieme biologico e biodinamico, sotto lo stesso tetto, come farà a marzo Vinitaly a Verona, con la nuova sezione Vivit ovvero "vigne, vignaioli, terroir" dedicata ai metodi produttivi a basso impatto ambientale e legati al territorio, e io allora non ci capisco più molto.
Ma non sono una profonda conoscitrice della materia, solo un'osservatrice che guarda un fenomeno ai suoi primi passi verso la massa (perché i vignaioli "eretici" hanno iniziato a farsi sentire già più di dieci anni fa ma in Italia sono un fenomeno sommerso) e sente che, come è successo per la musica, quando c'è stata la grande rivoluzione digitale e le etichette major hanno smesso di dettare legge, accogliendo il popolo più alternativo e spesso uso al "fai da te", che le ha costrette a cambiare usi e costumi del fare, produrre e vendere musica, così nel mondo del vino e dell'enogastronomia in generale, la stessa cosa sta diventando davvero evidente. E il modo di porsi dei vignaioli naturali, così lontani dai riflettori (certo ci finiranno anche loro e faranno bene, il vino si deve pur vendere, no?) e dalla megalomania televisiva, è emozionale e romantico. C'è chi adora Lady Gaga e chi Feist, chi va ad ascoltare solo Sting e chi invece preferisce i Radiohead. Questione di feeling.
Insomma, sono queste le riflessioni che ho fatto in tre giorni di Cinevino, le belle serate pensate da Jonathan Nossiter per la Cineteca di Bologna, cominciate il 19 gennaio e in calendario fino al 5 febbraio. L'idea del sommelier-regista conosciuto per Mondovino, che ha dato inizio alla rassegna proprio con un suo film, "Rio Sex Comedy", girato a Rio e con protagonsita, oltre che Charlotte Rampling e Irène Jacob anche il vignaiolo di Borgogna Jean-Marc Roulot (suo il profumatissimo vino che ancora ricordo, Meursault), è quella di abbinare un film a un vino. Di presentare al pubblico un film radicale e impertinente (sono quasi tutte commedie) con viticoltori altrettanto innovativi e gioiosi. E di portare il pubblico in sala col calice in mano, da sorseggiare con piacere mentre si segue la storia. Poi a fine film si parla insieme di cinema e vino con Nossiter stesso e l'ospite vignaiolo. Perché, come dice lui, "c'è bisogno di risposte radicali".
E' bello, è come stare in salotto. E si imparano tante cose. Almeno, per me è così. Sicuramente una visione del mondo che un po' intravedo e di cui trovo altre tracce. E' un'occasione per venire a contatto non con personaggi ma con persone che hanno fatto una scelta "estrema", forse inizialmente impopolare, perché il vino naturale, almeno in Italia, non è una cosa scontata. In Francia ha fatto più strada, qui la sta iniziando. E mi rendo conto, da piccola appassionata che sono (mi ha iniziato l'amico Stefano Biodinamico, ricordate? portandomi alla fiera di Fornovo nel 2010) che quando ti ritrovi a parlare di vini
Tutto da sperimentare, insomma.
Ma io già son pronta per vedere altri film, bere buon vino (ad esempio il 4 febbraio c'è Hotel Terminus di Marcel Ophuls che dura 267 minuti... e bere la Ribolla gialla di Dario Princic ), capirne qualcosa di più di naturale e biodinamico e sognare progetti utopistici.
senza utopia saremmo sempre alla clava, no?
RispondiEliminabella rassegna.
bologna è sempre un pezzo in là, comunque