ASPORTO: conversazioni all'ora delle consegne, nelle cucine di Bologna: Giacomo Pini (Parlor)

Giacomo Pini, chef del Parlor, seduto sul bracciolo del mitico divano
 

 

 

Ognuno si è organizzato a modo suo, in questa strana e imprevedibile era dell'asporto. Al Parlor ad esempio, una cucina che, al cospetto del delivery, soffre parecchio, Giacomo Pini, lo chef e Andrea Roncarati, il sommelier, hanno deciso di esserci lo stesso e di organizzarsi entro un orario stabilito: prenotazioni per la cena fino alle 14 e consegna entro le 18,30. Che poi la consegna la fanno proprio loro, come sta succedendo in tanti altri ristoranti. Sennò coi costi non ci si sta dentro. Il cambio di prospettiva, non c'è dubbio, è forte.

Martedì sera sono arrivata al Parlor all'ora dell'asporto e mi ha fatto un erto strano effetto non vedere il mitico divano in pelle fuori, sotto al portico. Un anno fa, in questo momento, la sera stava ancora lì, a salutare i passanti, illuminato dalle luci calde che da quattro anni sono diventate un motivo abituale della strada. Chi doveva attendere vi si adagiava, magari fumando una sigaretta e bevendo un calice o un cocktail, visto che il Parlor era famoso anche per questo.

 

 

Giacomo, l'asporto rimarrà la parola chiave o incubo di questi 12 mesi terribili per la ristorazione. Voi come l'avete affrontato?

In realtà non l'abbiamo preso in considerazione da subito, perché non avevamo idea, all'inizio, di come sarebbe andato a finire tutto. Poi, verso fine aprile, la decisione di far asporto con la modalità che ancora seguiamo: prenotazioni fino alle 14 e consegna nel tardo pomeriggio, fatta sempre da noi due, perché appoggiarsi a una piattaforma sarebbe troppo dispendioso.


Ci sono ristoranti con una cucina più popolare e di numeri, che posssoo permetterselo, ma ristoranti come il vostro hanno ancora una preparazione e dei tempi off limits per le consegne rapide e continue.

Proprio così. Ed è stato strano diventare anche fattorini e ritrovarsi a cucinare il pomeriggio in una manciata di ore. Il lavoro di un ristoratore, sia esso cuoco o oste, è fatto di tempi strettissimi, di giornate senza respiro... poi noi, da quando abbiamo aperto quattro anni fa, siamo sempre stati aperti sette giorni su sette, pranzo e cena. Un salto nel buio. Adesso le cose sono un po' cambiate, abbiamo sei dipendenti e io e il mio socio possiamo prenderci giornate libere, ma la stranezza del passaggio "da tutto a niente" è stato strano.


Ma l'asporto che guadagno porta?

Non lo porta affatto, è molto dispendioso. Bisogna ripensare tutto, il modo di cucinare, il modo di lavorare. Tutti i piatti vengono preparati in parte con cotture parziali e poi finiti a casa dal cliente con l'impiattamento. A ogni preparazione viene abbinato un foglio con le istruzioni e in pratica, per chi ordina, noi siamo un libro aperto, la nostra cucina non ha segreti... ma in effetti non ne ha mai avuti. Abbiamo deciso di fare l'asporto per esserci, per non perdere il contatto con la nostra clientela, per non perdere un lavoro e una cura che abbiamo portato avanti con grande passione in questi quattro anni.


Questa è la parte pù difficile.

Sì, perché non ci si pensa ma è così... in questo momento esserci fisicamente significa anche voler essere ottimisti che prima o poi si trnerà alla normalità. Anche se mi rendo conto che non tutti riescono ad avere un atteggiamento così e decidono senza ripensamenti di rinunciare all'asporto.

 

Che è anche un costo vivo di "hardware" gastronomico.

Certo. Le spese per acquistare contenitori, bicchierini per le salse, perché tutto deve essere fatto con cura. 

Il sottovuoto tanto amato dai gourmet per le cotture, si è rivelato uno strumento popolare.

Sì, eccezionale per questo nuovo ripensamento. Da un lato, mi sento però di dire che si tratta di un'esperienza stimolante, che ti costringe a un nuovo adattamento. Dopo un po' che si sta chiusi inizi a preoccuparti del fatto che ti dimenticheranno. E grazie anche ai social, che bisogna sempre curare e aggiornare, abbiamo riattivato i nostri clienti a saperci presenti.

 Il vostro è un asporto definibile come "deluxe", perché vaal di là della sopravvivenza quotidiana. Cosa ordina la gente?

Soprattutto pesce, tutti i piatti che non si farebbero a casa sono i più ordinati.


La vostra cucina è amata in città, ma non siete sulle guide: quanto ha influito questo sul ristorante, nel panorama attuale privo di turismo?

In effetti non siamo sulle guide, il ristorante si è diffuso e si è fatto amare sul passa parola. La nostra clientela è soprattutto locale e forse questa caratterstica ci ha portati a sentire di meno l'assenza, anche perché nei giorni di apertura, i pranzi stanno andando molto bene.

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